PANICO

PANICO

La parola panico deriva dalla mitologia greca: il dio Pan, suonando il flauto, faceva perdere l’equilibrio e l’orientamento ai viaggiatori. L’attacco di panico è infatti caratterizzato dalla perdita della capacità critica, alla quale si accompagna un alterato stato di coscienza in cui lo spazio diviene incolmabile e il tempo si assottiglia, creando la sensazione di vivere un presente atemporale che sembra non avere mai fine.

L’attacco di panico è improvviso, inconscio, inarrestabile e fuori dalla possibilità di ogni controllo; è coatto, indescrivibile e può essere raccontato dal soggetto solo a posteriori, non mentre si verifica.

Alla origine degli stati di panico, come del resto nella maggior parte della altre patologie, c’è la crisi abbandonica, il ripetersi della quale è in grado di scatenare i Disturbi da Attacchi di Panico (DAP).

La patogenesi primaria dei DAP risiede nel disaccudimento; tutta la sintomatologia ruota intorno alla paura di perdere la testa, o la salute in senso lato, quello che poi è definito stato di ipocondria. A differenza della sindrome abbandonica però, in cui può esserci ancora una critica e dei ricordi ad essa legati, durante l’attacco di panico manca questa capacità.

La regressione durante un attacco di panico può essere considerata come un tentativo di ritrovare quelle stesse difese usate contro ciò che veniva vissuto minaccioso e che servivano da alimento per la crescita nei primi anni di vita. Ma dietro ad un attacco di panico può esserci anche la paura della libertà e del cambiamento.

Il controllo sull’aggressività, una vita sentimentale e sessuale insoddisfacente, emozioni intense non vissute da molto tempo e che internamente ribollono, possono essere anestetizzate con un attacco di panico.

L’abbandono e il giudizio sono entrambe condizioni fondamentali per la genesi dell’attacco; l’angoscia di separazione sostiene il disturbo ed il nucleo su cui ruota la patologia. Il senso della relazione che segna chi soffre di questo disturbo è proprio sulla persecuzione; è come se dicesse e si dicesse di essere colui che fa allontanare tutti o che tutti allontanano e nello stesso tempo colui che tutti perseguitano e che tutti perseguita.

L’imprinting della relazione umana non è dato da comprensione ed empatia, amore e accettazione, bensì da precarietà, insicurezza, freddezza, ove l’abbandono, reale o no, è stato vissuto e il senso del giudizio sperimentato in maniera forte, sia perché forti sono state le critiche ed i rimproveri nella vita infantile, sia perché chi si sente abbandonato ritiene di essere cattivo e non amabile.

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